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BILIARDO PARALIMPICO: La testimonianza di Maurizio Zedda ci insegna ancora una volta a guardare quello che si ha e non a quello che manca

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È possibile ripartire nella vita quando tutto sembra crollare?  È una domanda che probabilmente in molti si sono fatti sperando di non dover mai dare una risposta. Ma a volte una risposta è importante trovarla.

“Sono nato in Sardegna nel 1977 e all’età di 16 anni mi sono trasferito dai miei fratelli in Lombardia per lavoro. Poi nel 2004 ho avuto un incidente in moto e mi sono dovuto reiventare – racconta Maurizio Zedda - ammetto che i primi due anni dopo l’incidente non è stato per nulla facile, il mio è stato un lungo percorso di consapevolezza di ciò che un evento drammatico così porta con sé. Piano piano ho sbollito il trauma e ho ridato fiducia alla mia vita”.

Maurizio Zedda ha creduto che ci fosse qualcosa di meglio di quel momento buio, si è rimesso in gioco ed è arrivato a un livello molto alto di autonomia. Nella sua vita lo sport è stato fondamentale in quanto vettore di inclusione sociale, inoltre, grazie alla pratica sportiva ho riacquisito fiducia nelle sue capacità. “Ci tengo a sottolineare che lo sport mi ha tirato fuori dal “problema” - continua Zedda – Oggi non mi do limiti e credo che la vita debba essere goduta fino in fondo e per questo ho provato a fare tutto ciò che generava in me passione, dal continuare a gestire una pizzeria dopo l’incidente, a viaggiare e al mettermi in gioco nel tennis e da circa due anni nel biliardo in carrozzina. È stato il modo in cui mi sono preso cura di me”.

Il paralimpico lombardo conosce il biliardo durante l’adolescenza “il biliardo era quel gioco che da ragazzino ha riempito e soprattutto rallegrato le mie giornate – conclude Zedda – rigiocare dopo circa 30 anni e soprattutto poterlo fare a livello agonistico, è una cosa bellissima. Anche se sono uno sportivo e so cosa vuol dire partecipare a delle gare Nazionali e Internazionali, devo ammettere che sono molto emozionato per le finali di Castel Volturno, primo perché si tratta di un tipo di competizione del tutto nuova per me e secondo perché in questo sport, sembra facile ma devi cacciare via le tue paure, sferrare l’arma della concentrazione e anche della cattiveria”.

La testimonianza di Maurizio Zedda ci insegna ancora una volta a guardare quello che si ha e non a quello che manca, che la disabilità è una condizione causata da una malattia, da una malformazione o da un incidente, ma questa non è una malattia. Dunque il focus è sulla persona.